ANORESSIA BULIMIA OBESITA’

LA CURA DELLA PAROLA

Per un salutare equilibrio psicofisico
e una buona comunicazione interpersonale


Oggi, epoca del tramonto del padre, della Legge del padre che apre al «simbolico», alle relazioni, e che crea legame, è operativa una sorta di maternizzazione sociale, «primaria», una società «liquido moderna», dove «circolano» sempre nuovi beni di consumo, facili e discontinui, così, l’uomo ha assunto le sembianze di questi stessi beni di consumo: consuma e si consuma.
Tutto si consuma, incessantemente, secondo un’espansione globalizzante, nell’illusione che in questa consumazione infinita la «mancanza a essere» del soggetto, possa essere, magicamente risolta.
Per questo, il «discorso del Consumo», per funzionare, non deve solo promettere
l’«apparente» risoluzione della «mancanza», ma creare continuamente pseudo «mancanze» da poter appagare, che alimentino il circuito del consumo.
L’incontro con – la differenza – l’Altro è evitato, come viene evitata la ricerca del «segno» d’amore che sospenderebbe, inevitabilmente, l’assicurazione di questo godimento illusorio, garantita dal consumo dell’oggetto, sapendo riconoscere e corrispondere alla contingenza del desiderio, particolare, del/per l’Altro.
Ma, l’oblio contemporaneo del «segno» d’amore (della «durata», del permanere dell’oggetto d’amore, anche, in sua assenza, della parola donante), favorisce la spinta indiscriminata al consumo dell’oggetto, nel vortice del consumo, sempre rinnovato dell’oggetto.
In quest’epoca «liquido moderna» anche i genitori o i figli risultano essere «oggetti
di consumo» emozionale: devono dare piacere, devono piacere, compiacere, possono essere «rifiutati», seguendo la logica «soddisfatti o rimborsati» (Z. Bauman, 2003). Ma questo, non ha nulla a che fare con il «segno» del dono d’amore, con il desiderio.
Inoltre, la progressiva deregolamentazione dei processi sublimativi, poiché guidati da sempre nuove e scambievoli seduzioni degli «oggetti» (di relazione), ridotti ad oggetti di consumo, variabili e di breve durata, porta a inibire, sempre più, tale spinta sublimativa (che consente il differenziarsi, una maggiore integrazione e coerenza dell’Io, la soggettivazione, l’Io morale), per regredire verso l’istintivo, il tribale (non è un caso che oggi prevalga il corpo sulle relazioni, che si scrivano parole tatuate sul corpo, o si usino i piercing, come se fosse «il corpo a parlare», poiché viene sempre più a mancare il linguaggio, che «significa» gli oggetti e le persone). Ed è la spinta sublimativa, come ci insegna M. Klein, a far prevalere l’oggetto Ideale sulla «confusione» di seno «buono» e «cattivo», attraverso il quale opera la trasformazione, la riparazione verso la gratitudine.
La mancanza del padre, della Legge del padre, ha portato l’attuale società al prevalere di maternizzazione «primaria», con-fusiva (dove prevale la madre, o padri «primari» che svolgono la stessa funzione della madre, ma «mancano» la funzione del padre: separazione, differenziazione, sublimazione, relazione).
Le relazioni, infatti, non sono più tali, bensì «connessioni» (che si «liquidano» con
facilità, sono facilmente rinnovabili, senza durata), si esce e si entra a piacimento, espellendo il conflitto, la differenza, ma anche la possibilità di trasformazione, la «presa» dell’Altro/altro, rimanendo chiusi in sé stessi, oggetti.
Oggi, non si assume più la «mancanza» (che è data dall’assunzione della Legge del padre, dall’assumere il «no»: non ti è dato di stare adesivamente nella madre, né di «fissarti» al padre, e questo «no», che limita il godimento illimitato e adesivo, da questa mancanza, sorge l’assunzione della differenza, della particolarità soggettiva). Anzi, la mancanza viene, sempre più, riempita dalla cosa (cibo, droghe, shopping compulsivo, videodipendenze) per ritornare a essere un pieno «fasullo», per continuare a essere un Uno nella madre.
Oggi, sempre più, i disturbi di personalità, che non sono più i disturbi di relazione
(nevrosi), sono disturbi di tipo narcisistico, centrati su se stessi e il proprio corpo: anoressia, bulimia, panico, nuove dipendenze. Disturbi legati, tutti, a un godimento illimitato e onnipotente, a una dismisura, a una con-fusione di bene e male, a una perversione dell’umano perché si cerca di espellere la mancanza (che ciò che costituisce il soggetto, la responsabilità verso le proprie «mancanze» e il desiderio), scegliendo l’onnipotenza assoluta e mortifera, sulla particolarità vivente.
Il testo cerca, così, di riattivare il «simbolico», l’Altro del linguaggio, l’azione «significante» del linguaggio come rete simbolica, per normare l’eccesso pulsionale distruttivo, umanizzando. Per questo tratta della «parola», a partire dalla parola «originaria» madrebambino, partendo dal concetto di «Volto» della madre (Winnicott), parole «suono» (Spitz), dal concetto «contenitore» (Bion), dallo Stadio dello Specchio (Lacan). E collega l’iniziale parola «analogica» (materna) con la «forma-fiaba» per restituire comprensione del «seno buono» e «cattivo» (Klein), e attivare il prevalere dell’oggetto «Ideale», che consente il passaggio alla riparazione e alla gratitudine, dalla con-fusione, aprendo alla bellezza. Il volume tratta, infatti, della relazione tra oggetto «primario» e oggetto «estetico», per restituire «senso» al simbolico e all’azione dell’interpretazione. Ma comprende, anche, la parola di relazione (paterna), la differenza, il cambiamento.
Spazio viene dato, infatti, all’importanza del «salto» interpretativo, in relazione ad alcune fiabe note.

NOTE SUL METODO

Il volume sottolinea l’importanza di riattivare il simbolico, cioè di sapere abitare l’assenza attraverso la produzione di un’immagine positiva che consente di tollerarla, ciò per non rimanere «dipendenti dalla presenza» dell’oggetto (com’è evidente, pure nelle tossicomanie). Manca, nel soggetto anoressico/bulimico, «l’oggetto segno», non «l’oggetto seno».
Non la madre dell’attaccamento e della risposta ai bisogni, ma la presenza del dono d’amore della madre che si attiva in sua assenza. Quella immagine mentale che consente di simbolizzarne la bontà, vivendone «l’imminente ritorno», non immaginando l’assenza come un seno cattivo presente, quindi da evacuare moltiplicando angoscia e distruttività, disintegrando sempre di più l’Io. Il simbolo sta per l’oggetto e consente il passaggio dal pensiero concertistico (con-fuso con il sensoriale) ad un più astratto. Il simbolo consente pure la distinzione di «seno buono» e «seno cattivo», senza la quale l’oggetto Ideale non prevale e non è possibile la simbolizzazione.
Questi concetti sono messi in relazione alla comprensione estetica, espressa da E. Bick e D. Melzer, C. Bollas, non solo per risignificare il buono e il cattivo, ma anche il bello e il brutto, così sovvertiti (pervertiti) in questa complessità.
Ma il metodo attivato dall’autrice attraverso il testo come «contenitore», e il simbolo come «funzione transizionale», che porta a distinzione il buono e il cattivo, il bello e il brutto, è di fondamentale importanza in tutte le complessità che non sanno tollerare l’assenza.